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Ingegno e indipendenza, 2018, still da v

Ingegno e indipendenza, 2018, video HD durata 07:20

Un piccolo tavolino pieghevole accompagna l’artista nel suo peregrinaggio che dalla stazione Centrale – luogo simbolico del primo arrivo in città – lo conduce attraverso Via Indipendenza e poi fino al centro di Bologna. A ogni sosta De Mattia, performer e imbonitore, mette in scena un diverso capitolo del suo piccolo mercato dell’arte. Dalla campagna di tesseramento del MAV (Movimento Artisti Violenti), un ironico sfogo di sentimenti repressi, al gioco delle tre carte, classica truffa mascherata da investimento veloce, ciascuna delle sette performance costituisce il frammento di un autoritratto dell’artista a lavoro che, con esibita disinvoltura, attende il pubblico della sua prossima transazione-tranello.


Vasco Forconi

Decorazioni per cavalli da guerra, 2021, stampa laser su carta Arches Aquarelle, biacca, acrilico, cm. 75x109

Mi sembra di ricordare che mio padre avesse paura dei cavalli. Io no, amavo cavalcare da ragazzina e l’ho fatto fino a quando mi si è rotto il ginocchio sinistro e senza un crociato e con il collaterale sfilacciato montare un cavallo è impossibile. Perché l’animale sente se il cavaliere è forte, fiuta le debolezze, percepisce le incertezze. Il rapporto tra il cavallo e il cavaliere è simile a quello che esiste tra l’artista e la pittura: bisogna essere preparati e mentalmente forti per domarla perché la pittura è una bestia. Quando pensi di addomesticarla si impenna, quando credi di averla messa tranquilla balza e scarta, quando sei sicuro di avere finito sbuffa e si scrolla di dosso tutte le tue certezze, facendoti ricominciare daccapo. E allora ci vuole una carezza, un colpo di spazzola, un ornamento speciale, un sussurro. Concetto diceva che l’arte è in costante fuga. Come un cavallo indomito, sempre pronto a saltare oltre l’ostacolo, oltre il recinto.
PS: Le carte su cui Giuseppe De Mattia ha dipinto e disegnato i suoi cavalli da corsa erano ancora impacchettate vergini nello studio di Concetto Pozzati. Darle a Giuseppe significava riconsegnarle all’arte, alle mani di un artista. A mio padre questo cavallo scuro, dagli occhi vivaci, decorato con segni forti, magici e rituali, sarebbe piaciuto perché addomesticato, solo momentaneamente, dalla pittura.

Maura Pozzati

Giuseppe De Mattia, Decorazioni per cava
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Tre forme semplici, autonome e rotanti, 2021, polittico composto da un acrilico su tela cm. 130x180, una scultura in terracotta cm. 90x48x10, un disegno a china cm. 30x40, due stampe fotografiche ai sali d’argento

cm. 14x18 con interventi ad acrilico *(nota 1)

Nell'opera Tre forme semplici, autonome e rotanti (2021) emerge in maniera chiara la processualità del lavoro di Giuseppe De Mattia. L'immagine di partenza, uno still da un filmato di famiglia girato in 8mm da Angelo Marzadori nel 1951 e ritrovato nell'archivio di Home Movies, diviene oggetto di indagine da parte dell'artista che, attraverso sollecitazioni visive diverse e giocando con le capacità interpretative dello spettatore la trasfigura: il gasometro e altri edifici storici del panorama industriale di Bologna diventano forme geometriche semplici capaci di una nuova vita autonoma. Liberate dal contesto e dal significato originale queste forme trasmutano, ruotano cercando nuove identità, interagiscono tra loro, quasi si divertono a passare da fotografia, disegno, pittura e scultura in ceramica.

Lorenzo Balbi

Fatterelli. Qualche centimetro quadrato di Casa Arcangeli, 2021, fotografia ai sali d’argento, pastelli e inchiostro stilografico su cartoncino conservativo, cm. 82x61

Fatterello, che non è un fatto, né un fattaccio. Qualcosa che forse sembra di poca importanza, preso poco sul serio, un gioco, ma dietro a questi “elli” c’è sempre qualcosa di importante, di fondamentale, perché come opera in sé hanno dentro il tutto. Il fatterello é un tuffo carpiato nel processo, nella materia grigia, nelle connessioni sintattiche, nei cammini visivo significanti di De Mattia, quasi un resumé della sua pratica artistica. Un pastiche visuale e linguistico, l’unione fra la fotografia e l’appunto attraverso la scrittura – il nostro cardiogramma involontario – che rimanda al cinematografico, al “la” della carriera dell’artista. Mi è sempre piaciuto definire Giuseppe un “raccoglitore seriale”, un po’ come il protagonista di quel libro di Franzen. Raccoglitore e collezionista, di storie, momenti, frammenti di vita. O di parquet, come questo in fotografia, trafugato dall’artista dalla casa Arcangeli, cuore della vita intellettuale bolognese, staccato da quel pavimento calpestato da chissà quanti piedi e protagonista di chissà quali storie. Qualche centimetro quadrato di vita bolognese, in questa mostra che è un po’ un’ode al capoluogo emiliano che ha accolto Giuseppe 20 anni fa. È quindi un fatto importante questo, anzi, un fatterello importantissimo perché oltre a tutte le storie bolognesi Qualche centimetro quadrato di Casa Arcangeli presenta anche la storia più importante di tutte: quella di Giuseppe che visitando la casa al civico 49 di Strada Maggiore, scoprendo questa Wunderkammer che era Casa Arcangeli, ha avuto la consapevolezza di essere artista.

Orsola Vannocci Bonsi

Giuseppe De Mattia, Fatterelli, Qualche
Giuseppe De Mattia, Gran copiatore, 2021

Gran copiatore, 2021, Ricoh Aficio MP 2000, Carta Crush Mais A4 120gr, timbro e inchiostro rosso

Una fotocopiatrice e un timbro sono oggetti di confine. Conducono ai margini della contemporaneità stretta attraverso canali che trasformano le immagini in documenti. Tra studi e uffici l’umile fedeltà della fotocopia è sempre rassicurante. Come accade in una vecchia barzelletta in cui si devono buttare dei fogli ma, per non rischiare di perdere qualcosa d’importante, prima se ne fanno le copie. Facendo il verso ai burocrati l’artista certifica l’unicità dell’opera come un ricordo. Predica il mantra radicale della smaterializzazione a suon di timbri parastatali. Restaura, per elegante tornaconto, la sacralità sociale della visita in galleria e del prestarsi al gioco intellettuale per buona educazione. La figura dell’artista è ancora una volta salva, mercanteggiata con una maschera che ha la stessa funzione di un volto su una banconota.

Gabriele Tosi

Disegni segreti. Guardando negli occhi un fiero leone, 2021, polittico composto da una scultura in rame cm. 120x4 a muro contenente un disegno a pennarello verde su carta da spolvero cm. 50x70;

lightbox cm. 20x2

Di tutte le opere che compongo il ciclo Disegni segreti questa ha un titolo capace forse di racchiudere i principali elementi della ricerca di Giuseppe De Mattia, a meno che non si tratti dell’ennesimo abbaglio critico. Guardare, per l’artista, è sempre un atto che richiede fatica o, ancora meglio, è un’azione che se svolta in condizioni di stress può portare a feconde rivelazioni. Non sono questi i casi che portano a produrre “dispositivi per non vedere bene”? Davanti agli occhi, vetri traslucidi, lenti, filtri o vere e proprie cancellature si interpongo tra noi e il mondo (delle immagini). Nascondere un disegno arrotolandolo in un tubo metallico saldato non è dunque il processo inverso dell’aprire un rullino per scoprirne le impressioni celate? E osservare una fotografia non è far coincidere il proprio campo visivo con quello dell’autore dello scatto? Una questione fiducia, si direbbe.
Del resto, provate voi a reggere lo sguardo di una fiera fiera.


Claudio Musso

Giuseppe De Mattia, Guardando negli occh
Giuseppe De Mattia.jpg

Forme tradizionali di protesta, 2021, acrilico su tela riutilizzata,

cm. 30x40

In un tempo in cui nessun testo critico ha più lo stesso valore scientifico ritengo stimolante accettare l’invito di Giuseppe De Mattia: diversi amici e colleghi si confrontano con una singola opera quasi fosse una didascalia “potenziata”. Ed eccomi a scrivere di un lavoro appartenente alla serie Forme tradizionali di protesta. Non mi stupisce affatto: la protesta mi è familiare quanto il mio continuo distanziamento dalla tradizione e dalla sue molteplici forme di rappresentazione. Anche oggi, dopo l’abbuffata citazionista e diversamente ripetuta dai “modi” degli ultimi decenni, siamo ancora qui a provare a definire lo spazio di azione e di responsabilità dell’artista e del sistema che lo rappresenta. “Qui tutti possono prendere un’opera gratuita” afferma lo slogan di un’ipotetica manifestazione: vecchie tele comprate in qualche mercatino, già dipinte da qualche “collega” di Giuseppe, sono coperte con acrilico bianco, e sono riscritte da “frammenti di un discorso artistico” dove riecheggiano tempi perduti. Ma se allora l’ipotesi utopica di cambiare il sistema poteva essere immaginabile, ora quel potere dell’immaginazione si è trasformato nella distopia di una realtà arida, armata solo di aggressioni economiche nelle quali dell’artista e dell’opera resta solo la certezza della sue immediata svalutazione. In un tempo in cui il quasi intero sistema dell’arte ha accettato l’oblio e il silenzio della chiusura pandemica prolungata, contro cosa saremo ancora in grado di protestare? E chi accetterebbe la sfida di affermare che “sappiamo chi sono i colpevoli ma non abbiamo le prove”?
 

Fabiola Naldi

Cancellature rosse, mangia-carta, 2021, stampa Xerox e acrilico su carta cotone, dittico, cm. 60x40 *(nota 2)

Le Cancellature rosse (2021) rappresentano un chiaro esempio di come negli ultimi anni la ricerca di Giuseppe De Mattia abbia seguito una linea – quella dell’analisi del rapporto tra immagine fotografica e segno pittorico – indirizzata all’indagine dell’interazione tra due forme espressive differenti, e soprattutto dei meccanismi alla base della fruizione dell’opera da parte dello spettatore. A fare da sfondo per la copertura pittorica sono gli still da un filmato di famiglia girato nel 1940 ai Giardini Margherita di Bologna, all’epoca una sorta di zoo cittadino. La cancellatura rossa copre la superficie dell’immagine lasciando liberi, sul margine, tre spazi: attraverso di essi, quasi come la scomposizione di una sequenza cinematografica, scorgiamo il muso di un animale tra le sbarre. La scena è tuttavia difficile da cogliere immediatamente, la nostra visione è ostacolata: la cancellatura seleziona un dettaglio, lo pone al centro dell’attenzione e ad un tempo ne accentua l’indeterminatezza. Un esercizio per lo sguardo davanti alle immagini, la città ne è la cornice.


Enrico Camprini

Giuseppe De Mattia, Cancellature rosse m

*(nota 1)
Fotogrammi tratti da film di famiglia, digitalizzato e conservato da Home Movies - Archivio Nazionale del Film di Famiglia. Autore del film:
Angelo Marzadori, 1951, Gasometro (Bologna), formato d’origine: 8 mm. Inventario: HMMARZANG_0005


*(nota 2)
Fotogrammi tratti da film di famiglia, digitalizzato e conservato da Home Movies - Archivio Nazionale del Film di Famiglia. Autore del film:
Oliviero Mario Olivo, 1940, Giardini Margherita (Bologna), formato d’origine: 16 mm. Inventario: HMOLIVOLI_0001

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